La chiave dell’ascensore di Agota Kristof mette in scena la dinamica perversa di un amore che diventa possessione.
Con un meccanismo circolare e ripetuto, la protagonista subisce ripetute menomazioni da parte del marito: tutto viene fatto per amore, come lei stessa afferma, più volte, per proteggerla dal mondo, dal trascorrere del tempo, per farla assomigliare sempre di più ad un oggetto, quello sì, degno d’amore.
Prima le viene tolta la libertà di uscire di casa, poi, la capacità di camminare, poi quella di vedere, quella di sentire, e infine… la voce.
Ma è a questo punto che la protagonista si ribella: la voce, la capacità di dare testimonianza, anche se lei non sente più cosa dice, diventa il simbolo del suo stesso esistere: la verità deve poter essere detta, la vittima deve essere ascoltata.
Un monologo agghiacciante e preciso, con un linguaggio che incide come una lama chirurgica.
Viaggio nel freddo inferno della vittima che diventa carnefice.
Di Agota Kristof
regia Laura Fatini
con Martina Guideri e Elisa Bartoli
foto di Mauro Sini
produzione Ensarte Artisti & Tecnici