L’ispettore generale
E’ Gogol stesso a darci, a conclusione della sua opera, una possibile chiave di lettura de L’ispettore generale, mettendo in scena lo stesso autore nel foyer del teatro, dopo la rappresentazione, e facendolo nascondere per meglio sentire le impressioni del pubblico e degli attori alla fine dello spettacolo, in uno spassoso e ironico commento del Primo attore comico.
Teatro nel teatro dunque per un testo che è già di per se’ una rappresentazione metateatrale: tutto quello che viene presentato all’ispettore è una messainscena della città perfetta, dove i malati sono pochi, si mangia baccalà a colazione tutti i giorni, e la posta arriva in perfetto orario. D’altronde anche Chlestakov diventa attore di se stesso, così come tutti gli altri, e impersona la parte dell’ispettore.
E in tutto questo gioco di scatole cinesi, il dito viene puntato contro la società corrotta, i vizi radicati nell’animo umano, la polvere che da sempre viene nascosta sotto al tappeto: anche qui, un’apparenza che cela la realtà, per poi tragicamente meglio rivelarla.
E allora, perché non rappresentare il marcio della società laddove, adesso, tutti noi additiamo che esso viva?
Perché non ambientare, nel 2015 L’ispettore generale alla periferia di una grande ipotetica città, in un campo dove gli ultimi sono stati confinati e dove vengono tollerati finchè non valicano i confini?
Da Gogol
regia Laura Fatini
produzione Nuova Accademia degli Arrischianti
foto Mauro Sini